Big Data e anonimato. Dovrebbe essere un binomio scontato.

In teoria sappiamo che cosa significhi ‘anonimo’. Tanto bene lo sappiamo che condividiamo i nostri dati per utilizzare le app.

Dati anonimi.. appunto, in teoria!

E’ successo che in America i dati ‘anonimi’ di un prelato che utilizzava una app per frequentazioni gay si sono trasformati in nome e cognome, coinvolgendo il malcapitato in uno scandalo inaspettato.

La domanda che ci poniamo è: Big Data e anonimato sono compatibili? Come è possibile che dei dati anonimi consentano il tracciamento di una specifica persona, esponendola a possibili ricatti, estorsioni e comunque a ‘pedinamenti’ non autorizzati?

La risposta è che i dati anonimi vengono venduti per scopi commerciali (o altro..) e incrociandoli fra di loro, in qualche modo, attraverso algoritmi studiati appositamente, possono rivelare chi sta dietro ‘sesso, cap, spostamenti, abitudini di navigazione’.

Perché dovremmo stupirci poi.. un po’ sappiamo da sempre, o almeno intuiamo, che gli strumenti per violare la privacy sono sempre più all’avanguardia.

Le nostre abitudini

Come si legge in un interessante articolo di Andrea Fedi  del 20 marzo 2019: “Viviamo in un mondo datificato. Tutto ciò che facciamo lascia dietro di sé una scia di dati. Quando utilizziamo la carta di credito o le tessere fedeltà, mettiamo like, fruiamo di mappe e navigatori, effettuiamo chiamate, mandiamo messaggi o navighiamo su internet, scarichiamo un’applicazione o diamo consensi privacy, mettiamo in circolo dati. Di più, tutti i nostri dispositivi e tutti gli apparecchi della domotica (internet of things) dialogano tra loro e si scambiano dati, dai quali si può facilmente desumere dove viviamo, quando usciamo di casa e quando vi rientriamo, che tragitto percorriamo, quali sono le nostre preferenze per la professione o il tempo libero.”

Come difenderci?

Non ci rimane che condurre una vita morigerata..

Per approfondire:

Vedi l’articolo di Corriere comunicazioni sui Big Data: leggi

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